Trovarsi perduti

Posted: 15th aprile 2013 by @DaniloMorchio in Senza categoria
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TrovarsiPerduti

Non ricordo per quale motivo ci trovammo in quella situazione, ricordo solo che fuggivamo, una fuga al limite dell’infarto, scappando dalle nostre paure, l’auto ruggiva come un animale ferito, facendo intuire però che l’agonia sarebbe durata ancora per poco, il serbatoio del carburante era oramai un arido deserto.

Il buio della sera lasciava solo intravedere l’ ombrosa sagoma degli alberi che, come in una penosa raffigurazioni infernale, minacciosi nella loro imponenza, sembravano volerci avvolgere con i loro rami.tesi come braccia verso un cielo scuro, ove qua e la pallide stelle cercavano senza riuscirvi di dipingere la notte.

Se l’auto si fosse fermata ci saremmo trovati senza luci ed i nostri inseguitori avrebbero auto la possibilità di raggiungerci, e nessuno allora avrebbe potuto aiutarci.

Eravamo proprio messi bene, inconsapevoli del destino cui andavamo incontro, sempre più avanti, sempre più spaventati, sempre meno consapevoli del motivo.

Ad un certo punto intravvedemmo una luce fievole, sottile come una candela, tremolante nel sottile soffio di vento che dava sollievo alla calura estiva.

Sperammo di essere arrivati alla fine dell’incubo che ci perseguitava, la luce illuminava l’uscio di una casetta, non sembrava essere molto grande per ciò che si poteva vedere all’esterno, però avrebbe potuto essere un’accogliente rifugio dove passare quella dannata notte.

Forse la forma, forse il colore o chissà cos’altro, ma quella casetta riusciva ad infonderci un senso di sicurezza anche se avevamo la consapevolezza che se i nostri inseguitori ci avessero trovato non si sarebbero certo fermati di fronte ad una sottile porta di legno.

Comunque la nostra unica prospettiva era quella di entrare e sperare che le nostre paura fossero passate oltre e non si fossero accorte dell’esistenza della casa.

Di fronte all’usci Flick cercò di forze la porta, e fu in quel momento che provai per la prima volta quella strana sensazione, una repulsione, come se qualcuno o qualcosa cercasse di respingermi, di avvertirmi di qualcosa, ma cercai di non farci caso, attribuendo ciò alla mia immaginazione, stimolata dalla situazione, come se il mio inconscio stesse giocando con le sue paure.

Flick riuscì a forzare la porta e con falsa spavalderia, nel tentativo di esorcizzare le proprie paure mi chiese se volessi entrare per primo, lasciai comunque a lui l’onore del primo passo, non ero mai stato un eroe, tantomeno lo sarei diventato in quelle circostanze.

Il cigolio di quella porta mentre si apriva mi portò alla mente l’immagine di Igor il maggiordomo del castello di Frankenstein quando si affacciava all’uscio per far entrare gli ospiti nel castello.

L ‘ ingresso fu una sorpresa, sembrava uno sgabuzzino sigillato, di fronte un muro ci sbarrava la strada, da lì di sicuro non saremmo potuti entrare.

Sopra uno scaffale si trovava un pò di tutto, da attrezzature subacquee ad oggetti per la pulizia e tutto ciò che si può trovare in un tipico sgabuzzino, Flick allungò il braccio verso un fucile a molla arrugginito per vedere se avesse ancora la sua funzionalità, se avesse funzionato sarebbe stato utile nel caso i nostri inseguitori ci avessero raggiunto, ma quando sfiorò il muro successe qualcosa di veramente straordinario, la parete si allontanò da lui come per far posto verso l’interno, in un movimento fluido morbido e silenzioso, come se la parete stessa fosse fatta d’acqua.

E più Flick cercava di toccare la parete più la stessa si ritirava.

Ci guardammo negli occhi stupiti e decidemmo di andare avanti per scoprire fino a che punto si sarebbe ritirata la parete anche se le leggi della fisica erano state completamente byppassate e la logica avrebbe imposto una categorica e strategica fuga.

Feci segno anche a Erica, Ele e Riba di seguirci le quali titubanti e piene di consigli sul metodo migliore per lasciar perdere, ci seguirono come cagnolini che abbaiando al cane più grande indietreggiano.

Mentre Flick avanzava, nell’ appoggiarmi alla parete alla mia sinistra palpai qualcosa di freddo e viscido, un brivido mi corse su per la schiena assieme ad una sensazione di disgusto, mi allontanai prontamente con una spinta a fuggire che dal ventre scorse fino alle gambe, ma il mio senso della realtà prevalse e mi stoppai.

Guardando a terra vidi ciò che avevo toccato, era solo un povero Geco, un animaletto simile ad una lucertola, solo piú piatto, null’ altro che la evoluzione nei secoli di un piccolo dinosauro.

Vidi però qualcosa di strano, mi avvicinai per vedere meglio, ma se non lo avessi fatto sarebbe stato molto meglio il piccolo dinosauro non era completo, gli mancavano delle parti, pensai di esserne stato la causa appoggiandomici sopra, credetti di averlo ucciso e cercai di muoverlo, ma alla vista del mio movimento si mosse per scappare, era la seconda stranezza della giornata, il povero Geco non era affatto morto anzi non era neppure ferito era semplicemente incompleto, ma non nel senso comune della parola, non che gli mancasse un arto o la coda niente di tutto ció, era come a chiazze di realtà, in alcune parti era normale in altre era come inconsistente, praticamente mancava il tessuto organico, per farla breve in alcuni punti ci si vedeva attraverso.

Il fatto cancelló il mio ultimo legame con la reatá, la quale momentaneamente, si sbricioló ai miei occhi e mi face sobbalzare avanti verso Flick a ció seguirono le conseguenti logiche grida delle ragazze che si gettarono le une sulle altre in un’ apoteosi di isterica follia.

Cercammo di calmarci ed una volta riusciti iniziammo a visitare la casa spostandoci in lungo e in largo, ovunque andassimo c’era una nuova stanza da visitare e un’altra e un’altra e un’altra ancora, sembrava non ci fossero limiti, i muri continuavano ad adeguarsi al nostro procedere, non mai una stanza nella quale fossimo già stati, provammo ad entrare tutti in una stanza ed uscire immediatamente dalla stessa porta e credemmo di trovarci in una specie di incubo collettivo, un’illusione dalla quale sarebbe bastato svegliarsi per ritrovarsi nella propria quotidianità, o perlomeno qualcosa di umanamente comprensibile, invece i pizzicotti ci confermarono la reale consistenza dei nostri corpi in quella strana realtá, se di realtá si trattava.

Ma che razza di realtá poteva trasformare una finita casetta in uno spazio infinito o comunque uno spazio maggiore all’interno che all’esterno ?

Cercammo di lasciare le domande a più tardi, a quando avessimo ritrovato l’ uscita, anzi a quando dopo aver trovato l’ uscita ci fossimo liberati anche dei nostri inseguitori, intuendo giá in anticipo che comunque non ci sarebbero state risposte possibili.

Tutte le porte che avevamo trovato erano tutte simili e non avevano opposto alcuna resistenza ai nostri tentativi di aprirle, fino a che ne trovammo una molto diversa dalle altre, nella forma e nei colori, una porta speciale con su incise quelle che ad occhio potevano apparire come frasi, ma i caratteri erano strani e incomprensibili, simili ad antichi ideogrammi egizi.

Non si capiva cosa c’era scritto ma si percepiva una strana sensazione, come un avvertimento, una forza invisibile che cercava di non farci avvicinare.

La voglia di indagare era molto forte, ma molto di più lo era la paura che scivolano lungo le nostre schiene imbrividite, che ci fece esimere dall’ indugiare oltre li di fronte, ci volgemmo verso la porta che si trovava nella parete opposta, quella dalla quale eravamo entrati e da quella uscimmo.

Ci trovammo a quel punto in un grande salone con un tavolo ovale molto grande, illuminato da sei candelabri appesi alle pareti, attorno al tavolo c’erano cinque sedie di legno e bronzo, molto grandi, con spalliere alte e lavorate, sembravano dei troni, quadri di varie dimensioni adornava le pareti, il tutto in stile barocco ma con accenni ad un’era molto precedente e molto cupa.

Decidemmo di sederci, nonostante la riluttanza generale, consapevoli che continuando ad andare avanti non ci avrebbe portato a nulla, avevamo tutti bisogno di riposarci e di schiarirci le idee, condividendo le nostre sensazioni, cercando di decidere sul da farsi, senza andare avanti in maniera casuale.

Erica ci fece notare come tutto sembrava perfettamente preparato nei minimi particolari, tanto per cominciare i candelabri erano tutti accesi tra l’altro da poco, in quanto le candele non erano per nulla consumate, i troni erano nel giusto numero per farci sedere tutti ne uno di piú ne uno di meno, poi cosa a cui nessuno aveva fatto caso fino a quel momento era tutto apparecchiato come se il nostro ospite avesse saputo l’ordine giusto nel quale ci saremmo disposti a tavola.

Infatti tutti avevamo il bicchiere dell’acqua e quello del vino tranne Ele, che come tutti noi sapevamo era astemmia e dulcis in fundus, a Riba e solo a lei erano state invertite le posate d’argento perché era mancina.

Dopo esserci stupiti per la capacitá di osservazione di Erica, decidemmo che poiché ci eravamo persi e trovandoci momentaneamente al sicuro dai nostri inseguitori, l’unica cosa da fare era cercare di assecondare la situazione, sedendoci e mangiando qualcosa, riposarsi un pó.

Del resto cos’altro avremmo potuto fare in una situazione cosí illogica, avremmo pensato sul da farsi durante e dopo la cena.

Non ci si poteva certo lamentare di non essere trattati bene, la tavola era ricolma di succulenti pietanze ed i vini erano certamente senza prezzo dato che il loro era chiaramente di parecchi anni.

Tutto questo ben di Dio ci diede un minimo di tranquillità, perché pensammo che se tutto ció era stato organizzato con tanta cura per noi, probabilmente non poteva il nostro ospite, chiunque fosse, volerci fare del male.

Cosí mangiammo come mai avevamo mangiato in vita nostra, in modo che se quella fosse stata la nostra ultima cena sarebbe stata la migliore di tutte.

Durante la cena discutemmo molto, ed alla fine continuammo a discutere, nessun ragionamento logico poteva essere adeguato al momento e non uscì nessuna idea che potesse aiutarci ad uscire di lì, solo ci pentimmo di non essere rimasti davanti alla porta diversa, per provare a decifrare il significato dei versi incisi sopra, in fondo era l’unica anomalia nell’anomalia.

Alla fine ci ponemmo la questione del dormire, infatti non potevamo certo sceglierci una stanza a testa, potevamo solo cercarne una abbastanza grande per accoglierci tutti assieme (altrimenti se ci fossimo divisi non ci saremmo piú ritrovati), possibilmente fornita di letti o per lo meno di qualcosa su cui stenderci.

Ci incamminammo verso la porta, ma un’ attimo prima di inoltrarci in essa, la perspicacia di Erica colpí di nuovo nel segno, ci fece infatti notare un’ altra stranezza, i quadri alle pareti raffiguravano quella stessa stanza, con noi seduti a tavola nella stessa posizione in cui eravamo stati fino a poco prima, ed ogni quadro rappresentava un angolazione diversa, quella cioé che avrebbe notato un’ osservatore posizionato al posto del quadro, era il punto di vista del quadro, un’ istantanea scattata da varie angolazioni, ma eseguita con il pennello giá molto prima della nostra venuta.

Il turbamento tornó in ognuno di noi con rinnovato vigore e con i brividi sulla schiena uscimmo da quel tetro teatro di cui noi stessi eravavo stati gli attori.

Nell’uscire da quell’ultima porta tutto iniziò ad aumentare in velocità, il tempo e lo spazio ebbero dei mutamenti incomprensibili, iniziai a sentirmi risucchiato verso l’alto, come se venissi tirato e allungato da forze diverse, sotto mi sentivo trattenere, i miei tessuti si gonfiavano come per contrariare le forze in gioco, ma nulla sembrava potessi fare coscientemente.

Tutto ad un tratto una forte luce davanti a me, poi buoi, poi di nuovo luce fino ad un forte colpo alla testa …….

…… A quel punto la realtà sembrava essere tornata al suo posto, con molta difficoltà mi guardai attorno, cercando di capire dove fossi finito, pia piano mi resi conto di essere tornato al mio mondo, le pareti erano quelle di camera mia e gli oggetti sui mobili erano familiari.

Con fatica mi alzai, le gambe mi tramavano ancora, la confusione stava passando, allora provai a me stesso la normalità uscendo dalla porta e tornando indietro con titubanza.

Tutto era normale, era solo stato un sogno, non ho avuto nessuna risposta diretta da esso, ma dalla situazione illogica e dal fatto di aver lasciato alcune cose sospese, come la porta diversa dalle altre, ho capito che la vita stessa potrebbe essere solo un sogno, qualcosa di non comprensibile nella sua intima essenza.

Il fatto di non aver finito il sogno e di esserne uscito di colpo, sembra essere un chiaro monito alla non indispensabilità dell’uomo per l’esistenza, ma anche del fine stesso dell’universo.

Questo non vuol dire che sia tutto inutile, ne si può dare risposte all’esistenza di Dio, solo, si deve ammettere che la nostra comprensione è veramente piccola di fronte alla vita.

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